Vivere insieme e condividere, questa l’essenza dell’abitare collettivo; l’uomo ha sempre condiviso le sue risorse e la necessità di abitare insieme sin dall’inizio del modello sociale che ha creato le prime comunità dell’uomo della pietra nelle grotte.
L’evoluzione della specie umana ha portato quindi con sé nel suo sviluppo e nei corsi e ricorsi della storia lo sviluppo dei modelli dell’abitare, ogni volta modulati dal contesto storico, sociale, culturale ed economico che gravitava intorno alla comunità.
Non prendo in questo momento il tempo di citare i vari esperimenti della condivisione dell’abitare che possiamo trovare nella storia dell’uomo attraverso la storia dell’Architettura, sarebbero infatti troppi quelli a cui fare riferimento e legati alle differenziazioni geografiche e temporali delle comunità che abitano il mondo e che assolutamente asincronicamente l’una dall’altra sono comunque legate dal processo evolutivo ma allo stesso tempo dalla continuità, reciprocità e sussidiarietà.
L’architetto, e prima di lui le figure scelte dalla comunità per indossare la veste di creatore degli spazi, ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella sperimentazione e progettazione dello spazio condiviso e della sua mutevole forma.
Lo spazio condiviso per l’Architetto ha varia scala, parte dalle scelte infrastrutturali di come collegare le comunità, passa dall’urbanistica che definisce il suolo quale elemento di collegamento e vita, scende a quella architettonica dove il portone d’ingresso al palazzo cambia il concetto dello spazio condiviso ma non lo abbandona, fino alla porta delle singole unità abitative, per poi ripeterlo ancora all’interno delle stesse.
Dividere e connettere lo spazio pubblico e quello privato sono gli elementi in cui l’Architetto esprime tutta la sua capacità di concepire lo spazio abitativo dell’uomo e di spostare più o meno da una parte la collettività della vita.
Se fino ad oggi siamo stati capaci di generare modelli di abitare più o meno collettivo, creando esperienze interessanti e felici ma anche fallimentari e tristi come la maggior parte delle periferie, diventa imprescindibile considerare l’abitare collettivo per la riuscita dei nuovi modelli di sviluppo sostenibile delle città e dei territori.
Il concetto assodato del consumo di suolo, che preferisco chiamare non spreco, e la necessità di rigenerare il patrimonio edilizio esistente creano una combinazione che in definitiva andrà a ridurre lo spazio vitale metro quadrato/uomo concentrando nello stesso spazio che siamo abituati a considerare un numero di persone e di attività maggiori, da cui l’esigenza definitiva di pensare ad un abitare condiviso di nuova generazione: il condominio del futuro.
Lo stringente concetto della sharing economy per lo sviluppo sostenibile ha già portato le nostre comunità a condividere prima i servizi, poi la mobilità, poi le cose ed ora è il momento anche delle costruzioni e specialmente dell’abitare al fine di migliorare le condizioni di vita e di farle impattare il meno possibile in termini di ambiente e risorse; ancora una volta tutto si muove in funzione di un irrispettoso utilizzo delle forze nel nostro passato che fanno di necessità virtù quella di cambiare il nostro modo di vivere, passando anche dalle nostre case: un fenomeno economico, culturale e sociale ormai sotto gli occhi di tutti.
E’ tempo di riscoprire i molti modelli per ricercare, sperimentare e rispondere alle richieste di un committente giovane, ma estremamente esigente, che ha fatto della sharing economy la base dello sviluppo aggregativo tra le persone.Un altro tema quindi quello dell’abitare collettivo, a cui è necessario aggiungere an-che “del futuro”, con cui l’Architetto dovrà confrontarsi per mantenere il ruolo indiscutibilmente riconosciuto nella storia di creatore dello spazio, in tutte le sue eccezioni.
Pensare e sviluppare modelli di abitare sostenibili sarà la richiesta delle giovani e future generazioni; committenti che andranno oltre il concetto dell’attuale parcellizzazione del suolo e della proprietà privata, in favore di un nuovo modello di vita rispettoso del pianeta e mirato a rallentare il processo irreversibile innescato dal cambiamento climatico.
Il cambiamento climatico e la pandemia devono essere considerati come un evento bellico, come un evento eccezionale che spazza via le certezze consolidate dell’abitare e dei nostri modi di vita, quasi a prefigurare una nuova era post apocalittica in scenari forse anche poco immaginabili e che lasciano spazio a grandi visioni ed ipotesi.