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Architettura e cambiamento climatico.

L’uomo negli ultimi 80 anni del suo sviluppo in ambito urbano e territoriale ha messo al centro il suo ego e l’automobile, ovvero si è interessato della soddisfazione delle proprie necessità spesso andando anche oltre il suo reale fabbisogno; questo ha fatto si che che la valutazione delle sue azioni e del suo impatto sull’ambiente, sull’energia e sulle risorse del pianeta fossero assolutamente inesistenti nel suo modello di vita.

La situazione negli ultimi 20 anni è precipitata e si iniziato a sentire parlare di overshoot day quale segno simbolico della irreversibilità di un processo di sfruttamento del pianeta, questo ha messo in moto un meccanismo che solo forse negli ultimi 5 anni ha acutizzato l’attenzione della società civile sul concetto del cambiamento climatico e delle sue conseguenze.

L’uomo si è ritrovato da regista dello sviluppo delle città, delle periferie e dei territori a vittima inevitabile di un processo di sfruttamento economico che ha radicalmente cambiato l’assetto sociale dell’intero pianeta.

La natura in questo processo di cambiamento ha sostituito l’uomo nelle sue azioni ed ha iniziato a reagire con la voglia di riconquistare il suo ruolo in questo gioco ed a causa delle modificazioni climatiche si è manifestata principalmente con disastri geologici ed idrogeologici; in questo gioco di ruolo tra pianeta e razza umana, non è rimasto che fondare una società ed una comunità resiliente capace di adattarsi al cambiamento.

Il cambiamento climatico non può rimanere solo una nuova parola nel nostro lessico ma deve produrre azioni eco-responsabili da parte delle istituzioni e della società civile che cambiando paradigma devono avere la capacità di mettere in atto soluzioni e strategie contro le trasformazioni che oro stesso hanno creato.

La capacità dell’uomo e delle comunità di essere resilienti nell’affrontare il cambiamento climatico attraverso la modifica degli assetti urbani e territoriali deve essere l’obiettivo dell’uomo contemporaneo, che come flora e fauna rischia di ammalarsi ed avviarsi verso una inevitabile apocalisse che porterà ad una nuova era dedicata ad un uomo diverso che avrà imparato a mettere al centro l’ecologia.


L’Architetto come generatore di trasformazione del territorio e della città non può certo chiamarsi fuori perché in qualche modo è stato anch’esso causa del dissesto e dello sfruttamento delle risorse del pianeta; spesso con un pensiero quantitativo anziché qualitativo ha seguito dinamiche e fatto scelte che poi si sono rivelate dannose per la salute e la vita dell’uomo, si perché alla fine a questo riconduce il gesto progettuale.

L’Architetto è quello che con la costruzione dello spazio urbano ed abitativo agisce sulla qualità della vita dell’uomo e anche in senso eco-logico può orientare la cultura dell’abitante senza che questo produca una qualità di vita o una possibilità di scelta inferiori al senso ego-logico; l’Architettura è a servizio delle comunità che abitano territori e città e non deve essere obbligatoriamente un gesto che a qualunque costo deve squarciare la vita dell’uomo.


E’ tempo che l’Architetto, indubbiamente l’unico titolato a dare qualità della vita al cittadino, prenda in mano la situazione e inizi a cambiare approccio al processo progettuale riconsiderando la sua posizione e subordinandola a scelte di impatto ambientale minore e di misura dettagliata della sostenibilità dei suoi progetti; come comunità dobbiamo accompagnare il cambiamento climatico per poterlo sfruttare a nostro vantaggio e con un desiderio di sfruttare, in senso buono, la natura, le risorse e la bio-climatica produrre la rigenerazione dello spazio urbano e territoriale affinché la qualità della vita che in questi luoghi si ha sia la migliore e meno impattante possibile.


Tutto questo è semplicemente complesso ma imprescindibile, dobbiamo guardare ed analizzare attentamente i 17 goals che le Nazioni Unite hanno individuato. Quanti di noi ne hanno compreso il significato? Forse solo quelli che hanno chiaro il concetto di resilienza e che hanno iniziato a pensare che sia necessario attuare l’espressione architettonica eco-responsabile, essendo pienamente convinti che questa non sia più brutta o povera, anzi che sia molto più difficile e complessa da gestire.


Sono cinque i punti fondamentali che l’eco-responsabilità del progetto, quasi poeticamente, deve prendere in considerazione: aria, energia, natura, acqua e riciclo. Ognuno di questi punti ha un preciso impatto sul progetto sin dal primo gesto progettuale che dalla nostra creatività si trasferisce in schizzo della matita sulla carta, quasi inconsapevolmente in quel gesto c’è tutto nel minimo dettaglio.

Ognuno di quei cinque punti è misurabile in termini di immissione di anidride carbonica nell’ambiente e in termini di impatto ambientale sin dalle scelte di progetto, passando dal cantiere, arrivando all’utilizzo ed alla manutenzione nel tempo.

Le architetture sono quindi basate sullo stesso ciclo di vita dell’uomo: vengono concepite, nascono, crescono, respirano ed infine muoiono. Come l’uomo alla sua dipartita genera nuove forme di vita, anche l’edifico alla fine del suo ciclo di vita deve poter generare nuove risorse da impiegare per progetti futuri.


Troppo spesso nel passato si è pensato di far passare il concetto che fosse sufficiente “dipingere” un’architettura di verde per farla apparire sostenibile; tocca a noi Architetti riportare al centro la cultura dell’eco-responsabilità imparando a comunicare ai nostri committenti, attuali e futuri, quali sono gli aspetti fondamentali dello spazio di vita del futuro ed insegnargli a guardare oltre la pelle dell’edificio … quella la vede da solo, il resto gli resta oscuro se noi non siamo capaci di raccontarlo!

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