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Paesaggio, la mano dell’uomo sulla terra.

Da quando possiamo parlare di paesaggio nella storia dell’umanità? Una domanda che potrebbe avere centinaia di risposte a seconda dell’interpretazione individuale di ciascuno di noi.

Nel corso delle ere geologiche e degli stravolgimenti planetari la terra ha autonomamente modificato il suo aspetto ed i suoi paesaggi nella logica della sua sopravvivenza, fino a quando l’uomo ad un certo punto della storia è intervenuto con le sue scelte a modificare il paesaggio mettendo le “mani sulla terra”.

Se dovessi dare quindi una risposta alla domanda iniziale, oserei dire che da quando l’uomo da nomade è diventato stanziale è iniziato un processo di mutamento quasi irreversibile del paesaggio.

L’urbanistica e l’architettura volute dalle scelte del genere umano sono diventati i nuovi parametri e le nuove misure con cui connotare il paesaggio che ci circonda, nel bene o nel male.

Quando si parla di paesaggio, generalmente il nostro pensiero volge quasi inevitabilmente al contesto naturalistico e, se ripensiamo al concetto di paesaggio terrestre, questo è corretto ed è in questo elemento naturale che l’uomo ha costruito le città e le infrastrutture che le collegano; dovremmo più precisamente parlare di alterazione del paesaggio per mano dell’uomo.

Il nostro contesto paesaggistico è il risultato di una grande stratificazione di elementi che ad esso si sono sovrapposti con l’obiettivo a volte di dominarlo e contrastarlo o di assecondarlo e mimetizzando gli interventi; ad un certo punto della nostra storia, forse coincidente con la rivoluzione industriale, il rapporto tra uomo e paesaggio è profondamente cambiato ed il desiderio umano di “terraformazione” del pianeta ha preso il sopravvento iniziando ad avere un forte impatto sul contesto che oggi ci circonda e che ci porta ad osservare luoghi pressoché incontaminati o luoghi irriconoscibili e violentati.

Come possiamo tutelare il paesaggio territoriale ed urbano è forse uno dei più grandi interrogativi che ci troviamo ad affrontare e che dobbiamo collegare, alla necessità dell’uomo di sopravvivere ai futuri mutamenti del pianeta terra; abbiamo così tanto stravolto il contesto in cui viviamo che la natura ha iniziato la sua ribellione e quei paesaggi così fantastici a volte diventano pericolosi ed ostili all’uomo.

Il dissesto geologico ed idrogeologico sono oggi fattori di mutamento del paesaggio e del contesto urbano, sono il segnale che la terra ci sta dando per far capire che quello che noi ci siamo presi ed abbiamo trasformato per le nostre esigenze a lei deve ritornare per la sua sopravvivenza.

Non significa che non dobbiamo pensare a lavorare sul paesaggio e la sua tutela, ma che dobbiamo cambiare approccio al tema del rapporto tra uomo e natura ed avere il coraggio anche di rimettere le mani su quei paesaggi fortemente a rischio e fortemente trasformati dalla mano dell’uomo; i nostri paesaggi sono spesso interrotti da quelli che definiamo eco-mostri che oramai sono divenuti essi stessi parte e caratterizzazione dei luoghi così come le belle ed inimitabili opere che la storia ci ha tramandato nei paesaggi da cartolina.

L’uomo ha plasmato la terra ed il paesaggio mettendo al centro, egoisticamente, le sue esigenze di sviluppo insostenibile ed oggi che siamo arrivati ad un punto di non ritorno, lo stesso uomo, deve mettere al centro ecologicamente il suo operato ed intraprendere un nuovo processo di terraformazione ed adattamento allo sviluppo sostenibile; paesaggio ed ambiente sono infatti due elementi connessi ed indissolubili ai quali l’uomo ha recato nocumento trascurando prima di tutto l’aspetto e l’assetto ambientale.

La tutela del paesaggio è oggi affidata alle strutture delle Soprintendenze che decidono, nelle aree vincolate, quali siano le trasformazioni ammesse o non ammesse sia nell’ambito territoriale che in quello urbano, basando le loro decisioni sul concetto statico di vincolo e senza considerare nessuna dinamica evolutiva; dall’altra parte investitori e progettisti spesso si dedicano a progetti che non sono adeguati alle nuove esigenze di mutazione del paesaggio, innescando un circolo vizioso in cui nessuna soluzione è ideale e si ottengono soluzioni di compromesso.

La trasformazione del paesaggio è opera dell’uomo che ha utilizzato la mando dell’Architetto per segnare indelebilmente il proprio territorio e di questo la categoria degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori deve fare tesoro ed avviare una riflessione profonda su quali debbano essere i paesaggi del futuro sia in ambito territoriale che urbano e come questi oggi debbano integrarsi anche con l’esigenza inderogabile della transizione ecologica.

Dobbiamo guardare al paesaggio in una dimensione diversa da quello che le trasformazioni post rivoluzione industriale hanno innescato, una dimensione che vada oltre alla visione tridimensionale con la quale fino ad ora abbiamo ragionato e che si è ridotta al rapporto tra pianta, prospetto e sezione con la variazione della scala di osservazione asseconda dell’operato sulle città o sul territorio.

Siamo ormai ad una quinta dimensione del paesaggio, la quarta l’abbiamo passata senza forse neanche accorgersene perché ne abbiamo fatto solo un dibattito che spesso si è sintetizzato cercando di portare il paesaggio nelle città attraverso la riforestazione; il paesaggio del futuro sarà profondamente diverso e sfuggirà alle nostre visioni singole perché non sarà solo una decisione del genere umano ma nascerà da un nuovo patto tra uomo e terra, se questa lungimiranza non entrerà nella nostra discussione il rischio è quello di essere sopraffatti e lasciare che il paesaggio ritorni indietro divorando tutto quello che l’uomo ha costruito per alterarlo e plasmarlo a sua immagine.

Se dovessimo oggi dare una visione su quale è il paesaggio del futuro, se non invertiamo il processo, vedremmo grandi distese desertiche e grandi città fortificate fatte di rottami e senza strade che le collegano; una visione che cancella con un colpo di spugna tutto quello che per noi oggi è il paesaggio delle cartoline che ci fanno sognare e che i piani Paesaggistici esaltano … basterà guardare il primo film di Mad Max girato nel 1979 per vedere che cosa stiamo immaginando … un paesaggio post apocalittico dove tutto è da ricostruire, con o senza di noi.

1 commento su “Paesaggio, la mano dell’uomo sulla terra.”

  1. Riflessione giusta, urgente e non rinviabile, l’abbiamo davanti al naso. Un elemento che a mio avviso la rende ancor più difficile da fare è il fatto che sino al secondo dopo guerra l’evoluzione del territorio/paesaggio è stata fatta da pochi uomini, con piccoli interventi e con piccoli mezzi, insomma un evoluzione lentissima. Dagli anni ’50 in poi dal’infinitamente piccolo, siamo via via passati al “sempre più grande” e con esso mutazioni repentine e su larga scala. La storicizzazione del paesaggio avveniva lentamente ed era “correggibile”. Negli ultimi decenni è stata sempre più veloce e dimensionalmente sempre più grande. La sfida di ripensarci è anchessa grande e complessa, ma purtroppo urgente. Non c’è ne possiamo esimere.

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