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Piantiamo il seme dell’architettura che verrà.

Potrebbe sembrare una enunciazione dal sapore solo comunicativo, invece pensare all’Architettura del futuro è sicuramente il metodo necessario, oltre che per la riqualificazione della città, anche per riappropriarsi del proprio ruolo culturale, sociale ed umanistico che in questo periodo complicato di crisi del mercato immobiliare, abbiamo teso a perdere od a dimenticare; solo il progetto di architettura infatti è in grado di offrire  una vera prospettiva di vita e dell’abitare futuro, costruendo processi e soluzioni atti a risolvere complessità di situazioni.

Il futuro delle città è indissolubilmente legato alla figura dell’Architetto che è in grado di conoscere le nuove regole del gioco in cui le keywords diventano recupero, riuso, rigenerazione e risparmio delle risorse, un nuovo paradigma con cui operare sul campo e con cui confrontarsi con la realtà contemporanea.

Abbiamo in mano un metodo di lavoro di qualità che però è fortemente ostacolato dalla possibilità di essere applicato a causa delle complesse e miopi  scelte di governo del territorio, che poco guardano verso un futuro reale e concreto dello sviluppo sostenibile dei luoghi, norme e leggi sembrano rifuggire dall’applicazione seria del concetto di rigenerazione urbana e rurale e delle loro declinazioni.

L’Architetto con la sua creatività, conoscenza e competenza deve farsi portatore di questo messaggio, cercando di scardinare in ogni piccola azione un meccanismo ed un sistema che sono ormai arrugginiti ed immobili, immersi in una coltre di asfalto che tiene tutto coperto ed impermeabile, ma in questa spessa e fitta selva di norme e burocrazia, dobbiamo diventare facilitatori dei processi e piantare il seme dell’Architettura che verrà, pensando al piano per la  rigenerazione urbana sostenibile, ed accompagnando i cittadini in questo difficile percorso attraverso la sensibilizzazione e l’informazione.

Serve certo la sinergia tra la politica, i tecnici, le imprese e la finanza, ma serve soprattutto la consapevolezza dei cittadini italiani sulle condizioni del loro habitat; un esempio per tutti è la pressoché diffusa non conoscenza della certificazione energetica, o delle ancora alte percentuali di mancata messa a norma, delle certificazione degli impianti nelle loro abitazioni.

E’ necessario ricordare che primo destinatario della rigenerazione urbana è, e deve essere, il cittadino, è un dovere di tutti noi renderlo consapevole dello stato della sicurezza dell’abitare e delle condizioni, anche patrimoniali, dell’immobile su cui ha investito e acceso lunghi mutui, tanto più nel momento in cui si aumentano gli estimi catastali e le tasse sul patrimonio immobiliare: il cittadino consapevole deve perciò sapere che gli edifici non sono eterni, che la manutenzione deve essere finalizzata in prima istanza alla sicurezza, al risparmio di risorse e che la qualità e la sicurezza degli spazi pubblici sono un diritto.

La rigenerazione urbana sostenibile non deve essere vista dalla politica e dai gestori del governo del territorio come il desiderio dell’Architetto di speculare, ma come uno strumento di sviluppo, di occupazione e di economia; un’occasione per riconnettere il progetto della città alla vita quotidiana dei cittadini rendendoli consapevoli delle condizioni abitative, ma anche rispondendo alla loro richiesta di bellezza delle città: un quarto degli italiani ritiene che la qualità delle costruzioni sia riconducibile al concetto di bello.

Questo è il nostro mestiere, questa deve essere la nostra mission se vogliamo che la rigenerazione urbana sostenibile diventi il seme del lavoro che verrà, iniziando dalla cultura dei piccoli sino ad arrivare a quella dei grandi.

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