Quand’è che il genere umano ha il suo primo rapporto con la terra, certo siamo tutti portati a pensare che sia quando si viene concepiti o quando si viene al mondo, ognuno ha la sua filosofia; per me il rapporto con questo elemento fondamentale inizia quando si può iniziare a toccarla.
Il mio ricordo del primo rapporto con la terra è ancora vivo e forte, stavo giocando da piccolissimo e infilai la mano nel terreno per prenderne una manciata e metterla in bocca; aveva un buon odore e quindi nel mio pensiero associativo doveva avere anche un buon sapore, ma così non fu.
Nel tempo seguente, crescendo, il rapporto con la terra continuava a manifestarsi in varie forme ed il viaggiare molto mi consentì sin da bambino di approcciare a tante terre, tanti paesaggi, tante città, e tante culture; così iniziava il mio sguardo diverso verso il nostro mondo, la “terra” per antonomasia.
Da quei ricordi sono passati molti anni ed ora il rapporto con la terra si è ancora evoluto anche per il mestiere di Architetto che ho scelto di fare e che ritengo ponga tutta la nostra comunità in un rapporto speciale con la terra, in qualche modo siamo un genere diverso che con il suo lavoro di “terraformatore” ha caratterizzato la storia dell’uomo e dei luoghi del suo abitare; siamo stati dei facilitatori della colonizzazione del territorio rurale ed urbano, abbiamo consentito alla creazione di nuovi paesaggi proiettando la terra in altre dimensioni visive.
La terra, intesa come pianeta, ci ha dato tutti gli strumenti per trasformarla a nostro piacimento; da essa provengono acqua, energia e materie che abbiamo imparato a trasformare per utilizzarli con processi innovativi in altri elementi che hanno proiettato il mondo delle costruzioni oltre la barriera attraverso il progetto, a volte sconsiderato.
I costanti momenti di crisi che la nostra terra vive e che spesso sintetizziamo nei dissesti geologici e idrogeologici come terremoti e alluvioni oltre ad altri diversi ed inaspettati come la pandemia, dimostrano che quella terra non è più nostra alleata e ci invia segnali di ribellione ai quali dobbiamo porre grande attenzione.
Questo non significa che dobbiamo rinunciare al nostro mestiere di terraformatori, anzi, dobbiamo cambiare il modo di approcciare al tema della trasformazione del territorio ed introdurre la variante della tutela della ruralità e dell’urbanità che abbiamo, introducendo il concetto molto più ampio della salvaguardia e della bellezza.
Salvaguardare non significa vincolare in maniera assoluta ed indistinta il nostro patrimonio paesaggistico o costruito.
Significherebbe guardare con occhi bendati il mondo ed agire con sicurezza senza fare, senza rischiare e percorrendo sentieri conosciuti.
Salvaguardare significa invece introdurre il concetto dinamico di bene comune che attenzioni il paesaggio rurale ed urbano in ogni suo centimetro quadrato, decidendo di cambiare quello che non ha funzionato, e rischiando con l’introduzione di nuovi modelli di sviluppo più visionari e futuristici.
Non possiamo continuare a guardare il mondo stando sull’uscio di casa, bisogna varcare la soglia ed infilare le mani nella terra, ritornare a quel primo contatto per capire dove abbiamo fatto bene e dove abbiamo sbagliato, senza pregiudizio.